Avanti adagio. I Trattati di Roma e l’unità europea

Avanti adagio. I Trattati di Roma e l’unità europea


Avanti adagio. I Trattati di Roma e l’unità europea, a cura di Daniela Preda è un testo che offre l’occasione per una riflessione approfondita sui caratteri del processo d’integrazione europea, sulle sue strategie e i suoi esiti, quanto mai appropriata alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo del 25 maggio.


Il volume, a cui hanno collaborato studiosi provenienti da diversi Paesi europei (Gérard Bossuat, Andreas Wilkens, Mark Gilbert, Giulio Guderzo, Massimiliano Guderzo, Sergio Pistone, Dario Velo, Filadelfio Basile, Domenico Spampinato), affiancati da docenti e giovani ricercatori dell’Ateneo genovese (Danilo Veneruso, Franco Praussello, Bruno Soro, Daniela Preda, Guido Levi, Lara Piccardo, Simona Calissano, Giulia Devani) è arricchito dalla testimonianze di alcune personalità del mondo politico genovese (Beppe Manzitti, Giancarlo Piombino ed Edoardo Guglielmino), ripercorre con metodo interdisciplinare sia la genesi dei Trattati di Roma, vista attraverso il focus di alcuni Paesi fondatori e non, sia le successive politiche, soffermandosi in particolare, nell’ultima sezione, sul caso genovese.


Copertina del libro Avanti adagio. I trattati di Roma e l'unità europeaIn merito alla genesi della Cee e dell’Euratom, il volume intende chiarire un’ambiguità di fondo spesso riproposta dalla vulgata su questa tappa del processo di integrazione europea, mettendo in luce come la firma dei Trattati di Roma, pur legata all’avvio dell’europeismo nella seconda metà degli anni Quaranta, rappresentasse anche una cesura. Molto spesso, la lettura di questa prima fase della storia comunitaria risulta unitaria e la nascita delle tre Comunità negli anni Cinquanta viene accomunata sulla base di un riferimento molto generico al funzionalismo di stampo monnetiano. A sostegno di questa interpretazione vengono riportati vari elementi: gli anni in cui ebbe origine la Comunità europea ricoprivano un arco temporale circoscritto, il contesto internazionale della guerra fredda che fece da sfondo all’avvio del processo di integrazione apparentemente sembrava immutato, lo stesso dicasi per i protagonisti, i sei Paesi della “piccola Europa”. Inoltre l’avvio dei negoziati che portarono alla firma dei Trattati di Roma fu silenzioso, nonostante la Comunità rappresentasse una vera e propria rivoluzione nella storia continentale. Una storia in sordina, quella delle prime Comunità europee, che si svolse nel quadro di un generale disinteresse mediatico, politico e sociale.


Si potrebbe, quindi, essere indotti a guardare a questo periodo del processo di unificazione europea come a un unicum storico e internazionale


In realtà, tra il ’50-’52 e il ’54-’57 il contesto internazionale cambiò radicalmente. Dalla prima fase della guerra fredda, che diventò guerra guerreggiata in occasione della crisi coreana, si passò al periodo della coesistenza competitiva post-staliniana, dagli Stati distrutti dell’immediato dopoguerra agli Stati pienamente ricostruiti della metà degli anni Cinquanta, mentre in conseguenza del processo di decolonizzazione i paesi del movimento dei non allineati si affacciavano come protagonisti sulla scena internazionale.


A questi cambiamenti del sistema internazionale si sommavano le caratteristiche profondamente diverse delle due Comunità. Mentre l’integrazione di carattere monnetiano adottata con la Ceca assegnava una forte centralità a istituzioni sovrannazionali, dotate di ampi poteri su un settore limitato come quello carbo-siderurgico e applicava l’attuazione di un metodo che si potrebbe definire di gradualismo costituzionale, che in parte si rifletteva nella Comunità sull’energia atomica, l’Euratom, nella Cee le istituzioni sovrannazionali esistevano solo in funzione dell’organizzazione e della gestione del mercato. Il potere decisionale era assegnato al Consiglio dei ministri, espressione dei governi nazionali e la centralità veniva posta sulle competenze, secondo un modello di functional approach anglosassone. I Trattati di Roma crearono dunque un ibrido, riflettendo, con la nascita delle due Comunità, le due anime del processo di integrazione europea, quella federalista e quella funzionalista.


A dispetto di queste valutazioni e dell’arretramento dell’Europa ideale rispetto all’Europa pragmatica celebrato dai Trattati di Roma, i saggi pubblicati nel volume sottolineano come l’obiettivo di un’Europa politica continuasse comunque ad essere ben presente nelle speranze e nel bagaglio culturale dei padri costituenti, così come dei loro successori. Essi guardarono, infatti, ai Trattati di Roma come a un processo che, sfociando in un’unità di fatto dal punto di vista economico, avrebbe creato i presupposti per un rafforzamento politico-istituzionale della Comunità. Spaak affermò nelle sue memorie che gli estensori dei Trattati credevano che l’integrazione economica li avrebbe condotti immancabilmente all’unificazione politica. Quindi quel gradualismo costituzionale che veniva espunto dai Trattati rimaneva di fatto negli obiettivi e nelle speranze, nella volontà stessa dei padri fondatori. In altre parole, l’integrazione politica continuava a far parte dello “spirito del Trattato”, ma non della sua sostanza.


Il metodo adottato alla Conferenza di Messina, che nel giugno 1955 dava avvio al cosiddetto ‘rilancio europeo’, andava proprio in questa direzione: si pensò, infatti, di affidare a una forte personalità politica – Paul-Henri Spaak – la direzione dei lavori della Conferenza di studio che si sarebbe aperta di lì a poco. A sua volta Spaak, rendendosi conto dell’impossibilità di procedere in maniera avanzata attraverso il metodo classico della Conferenza intergovernativa, avrebbe affidato solo a un gruppo ristretto di collaboratori il compito di elaborare i progetti di Trattato.


E in effetti l’integrazione economica avrebbe ben presto messo in luce la necessità di un approfondimento dell’integrazione anche dal punto di vista istituzionale e di un rafforzamento dei poteri di controllo del Parlamento Europeo, sin dal momento in cui s’intravide, anche in virtù della creazione della Tariffa Esterna Comune e dei prelievi sui prodotti agricoli, la creazione di un bilancio autonomo.


Tuttavia, nonostante le aspirazioni dei padri fondatori e anche di alcuni membri della Comunità come l’Italia, le riforme istituzionali adeguate non sono venute né allora né dopo e negli ultimi trent’anni l’Europa si è mossa all’affannosa ricerca della sua unità politica, attraverso un continuo rilancio sul piano istituzionale: Atto Unico Europeo, Trattato di Maastricht, Trattato di Amsterdam, Trattato di Nizza, Dichiarazione di Laeken, Convenzione europea, Trattato costituzionale, Trattato di Lisbona.


L’auspicio che lo sviluppo dell’integrazione economica non ostacolasse lo sviluppo futuro dell’Europa politica, è particolarmente evidente nell’analisi del caso italiano, messo in luce dai saggi pubblicati da Daniela Preda e da Franco Praussello.


La storiografia si è a lungo disinteressata del processo negoziale che ha portato alla firma dei Trattati di Roma, complici le difficoltà per gli studiosi di reperire i documenti diplomatici del Ministero degli Affari Esteri su questo importante momento nella storia del nostro Paese, e il ruolo dell’Italia nel contesto della Conferenza di Messina e di quella di Bruxelles è apparso marginale, venendo oscurato dall’asse franco-tedesco e limitato all’ospitalità diplomatica delle sede dove ebbe luogo la Conferenza di Messina e dove vennero firmati i Trattati di Roma.


In Italia, la Conferenza si svolse in un periodo di marcata instabilità governativa: si aprì sotto il governo Scelba, i negoziati si svolsero sotto il governo Segni, mentre il dibattito in Parlamento e la ratifica avvennero sotto il governo Zoli. Nel maggio 1955, il nuovo presidente della Repubblica Gronchi era favorevole alla distensione Est-Ovest e all’accordo con Mosca. Agli Esteri, dal ’54, c’era Gaetano Martino, un liberale che aveva invece una spiccata vocazione europeistica, di stampo einaudiano, in cui qualche punta federalista si coniugava a un forte pragmatismo, che individuava come interesse nazionale la responsabilità civile della costruzione dell’Europa unita. E proprio Martino si sarebbe fatto portavoce dell’aspirazione dello sviluppo di un’integrazione politica al fianco di quella economica, indispensabile affinché l’Europa non rimanesse oggetto della politica internazionale, ma ne diventasse un soggetto.


L’Italia aveva dunque interesse a un rilancio europeo sia in senso orizzontale – attraverso la creazione di un mercato comune – sia in senso verticale – attraverso la creazione di un’organizzazione specializzata dell’energia atomica. Prevalse tuttavia un orientamento favorevole alla prima, qualcosa di intermedio tra l’organizzazione sovrannazionale e quella intergovernativa. Si temevano, negli ambienti economici, le conseguenze di un mercato aperto sulla debole economia italiana e soprattutto sul Piano Vanoni per lo sviluppo del reddito e dell’occupazione.


La delegazione italiana – composta dal capo delegazione, Lodovico Benvenuti, Roberto Ducci, Attilio Cattani, Achille Albonetti, Francesco Cavalletti, autorevoli diplomatici, il cui ruolo nel processo di integrazione europea sarebbe emerso anche nei decenni successivi, operò in grande autonomia, costretta talvolta addirittura a sollecitare le direttive dal governo e raramente affiancata dai direttori dei ministeri interessati.


A dispetto di qualche alto proclama, l’Italia si adeguò all’approccio intergovernativo, auspicato dalla coppia franco-tedesca, chiedendo clausole di salvaguardia per i Paesi in difficoltà, l’istituzione di un fondo di sviluppo per le aree arretrate e soprattutto la libera circolazione della manodopera. Ottenne un Protocollo allegato al Trattato in cui si riconosceva che gli obiettivi del Piano Vanoni costituivano un interesse europeo e si raccomandava alle istituzioni europee di facilitarne la realizzazione, in particolare attraverso la creazione di un Fondo d’Investimento e di un Fondo di Riqualificazione.


Una storia, questa della partecipazione italiana al processo negoziale che portò alla firma dei Trattati di Roma, che appare tanto interessante, quanto più si avvicina la data dell’inizio del nuovo semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea.


Maria Eleonora Guasconi
Dipartimento di Scienze Politiche (DISPO)
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