Tabucchi (anche) giallista

Tabucchi (anche) giallista


Generalmente attratto dal tema del mistero e delle strategie per tentarne lo svelamento, Tabucchi si è cimentato, sia pure con un’interpretazione originale, nel genere del romanzo d’indagine o (come si dice in Italia) giallo in Il filo dell’orizzonte (1986) e La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997). Al di là delle differenze tematiche e ambientali (il primo ha per scenario una città di mare mai nominata ma facilmente riconoscibile per Genova e il secondo la dichiarata Oporto), le affinità tra i due libri sono evidenti, prima tra tutte la grande importanza attribuita alla stampa e ai giornalisti, personaggi peraltro spesso presenti e quasi sempre problematici nella narrativa di Tabucchi, con Pereira come assoluto emblema. Il protagonista di Il filo dell’orizzonte in realtà è Spino, un medico legale, in ciò ricalcando il John Thorndyke di L’impronta scarlatta (1907) di Richard Freeman, ma la sua indagine, mentre gli organi ufficiali investigativi latitano, si svolge in parallelo con quella del giornalista Corrado il cui ruolo, al di là dell’apparenza defilata e quasi rinunciataria, è fondamentale non solo perché è lui che agisce nell’ombra, ma anche perché esprime sia la convinta sfiducia nei confronti delle istituzioni, sia l’altrettanto convinta (e amara) necessità di evitare di indagare a fondo nei misteri che nascondono giochi di potere troppo grandi per essere sconfitti.


Tutt’altro uomo il giornalista Firmino protagonista di La testa perduta di Damasceno Monteiro, giovane intraprendente e scaltro, stimato per le sue qualità investigative e di scrittura dal direttore del suo piccolo giornale popolare che lo incarica di occuparsi di un misterioso delitto per procurarsi elementi, preferibilmente truculenti e se possibile populisti, che soddisfino la curiosità dei lettori golosi di delitti e misteri. Firmino scioglie l’uno dopo l’altro i nodi del delitto, giungendo a scoprire che la polizia non è qui solo latitante nelle indagini, come nel Filo dell’orizzonte, ma è addirittura responsabile del truce assassinio.


Nei suoi due romanzi d’indagine Tabucchi non si affida dunque al tradizionale poliziotto o detective privato, ma crea due giornalisti-investigatori, figure certo non nuove nel genere (già all’inizio del Novecento Gaston Leroux aveva ideato il giornalista detective Josèph Rouletabile) e presenti in due degli incunaboli del romanzo poliziesco italiano: I misteri di Genova (1866) di Anton Giulio Barrili e Il cappello del prete (1887) di Emilio De Marchi. Con la sua scelta di presentare due giornalisti, a loro volta affiancati da un medico e da un avvocato, nel ruolo d’investigatori, Tabucchi ha dunque voluto (ri)collegarsi alla secolare diffidenza nei confronti delle istituzioni, ma anche privilegiare il ruolo della stampa nella moderna società, come aveva sottolineato Paolo Mauri (“la Repubblica”, 23/9/1997) osservando che “Tabucchi ama servirsi dei giornali, dei giornalisti investigatori, della crudezza delle cronache” perché essi “credono nella verità”. In entrambi i romanzi di Tabucchi però il terzo elemento proprio del giallo – e cioè l’individuazione del colpevole e la sua consegna alla giustizia per ristabilire l’ordine incrinato dal reato – viene a mancare, sicché anche la sua interpretazione del genere, come quelle di Gadda e Sciascia, reclama la qualifica di “inquietante” perché il mistero di fatto non viene risolto e la ferita sul corpo della società malata non viene rimarginata. In entrambi i casi allora la morte violenta rappresenta non più la depravazione di una mente malata, come si leggeva nei primi polizieschi che, da Poe in avanti, avevano inaugurato il genere, ma come prova sin troppo agghiacciante della degenerazione della società dove, in un inquietante gioco delle parti o, tabucchianamente, gioco del rovescio, chi deve vigilare sulla legalità assume sempre più spesso il ruolo di chi invece quella legalità impunemente vìola: così avviene in La testa perduta di Damasceno Monteiro e così in Una storia semplice di Sciascia, a ribadire il filo neppure troppo sottile che lega, in una ricerca ostinata e perdente della verità al di là dell’apparenza, Tabucchi a Gadda e a Sciascia e, via discendendo, a Pirandello, forse il primo inconsapevole modello per molti investigatori del mistero.

Francesco De Nicola
Dipartimento di Lingue e Culture moderne
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